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Iscritto il: ven lug 13, 2007 3:17 pm Messaggi: 10427
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cometa rossa ha scritto: Stamattina il Corsera ha scritto un articolo "auto: e se il crollo delle vendite fosse perchè costano troppo"? Non posso leggerlo in quanto non abbonato, ma io credo sia in parte vero. Eccolo https://www.corriere.it/economia/aziend ... 6xlk.shtmlAuto, e se il motivo del crollo delle vendite fosse semplicemente perché costano troppo? Luca Angelini 13-18 minuti
I giovani, gli automobilisti del futuro, per ragioni insieme pratiche e ideologiche hanno perso interesse per le auto anche perché hanno di fronte un’offerta che non possono permettersi
Ha scritto Daniele Manca, nel suo editoriale sulla crisi di Stellantis e del mercato dell'auto, che da parte dei grandi gruppi sono state «ignorate le nuove generazioni che sembrano non considerare più l’acquisto di un’auto come il passaggio all’età adulta. E così quando il mercato inizia a cambiare, il settore sembra impreparato». È un tema sul quale torna Claudio Cerasa, direttore del Foglio.
«La crisi del settore dell’automotive — scrive Cerasa, il cui quotidiano è da sempre piuttosto "tiepido" sulla lotta ai cambiamenti climatici — nasce anche per ragioni ideologiche, per conseguenze cioè legate agli effetti di lungo termine generati dalla lenta e inesorabile demonizzazione dell’auto. Non è solo, come si dice, un tema legato alla fine dell’automobile come status symbol, della fine di quella stagione magica durante la quale ottenere una patente di guida era un rito di passaggio verso l’età adulta. Il tema è più sottile e riguarda gli effetti di lungo termine della trasformazione dell’auto nel simbolo nocivo di tutto ciò che rappresenta la modernità e dunque il capitalismo. L’auto inquina, l’auto uccide, l’auto ingombra, l’auto disturba, l’auto è pericolosa, l’auto è un peso, l’auto è contro l’ambiente, l’auto è un pericolo per la nostra vita, l’auto è un pericolo per le nostre città, l’auto non deve andare in centro, l’auto deve essere tassata di più, l’auto è un intralcio al tentativo dei politici più genuini di restituire la città ai propri abitanti, come ha avuto modo di dire la sindaca verde di Parigi Anne Hidalgo».
Viene quasi da dare una ragione postuma, a oltre trent'anni di distanza, a Colin Ward, giornalista e architetto anarchico di cui, nel 1992, quando i ventenni di oggi ancora dovevano nascere, Elèuthera pubblicò il pamphlet Dopo l'automobile. «Riusciremo, nel XXI secolo, a sfuggire all'era automobilistica del XX? - si chiedeva Ward -. L'automobile vi si è insinuata come giocattolo da ricchi, condannata dalla gente normale come un'arma letale sguinzagliata per le strade. Man mano che il secolo procedeva, è stata considerata sempre più una necessità per tutte le famiglie, distruggendo l'economicità di altre forme di traffico, trasformando l'ambiente e facendo sì che le sue vittime fra gli altri utenti della strada venissero considerate responsabili della propria stessa vulnerabilità. Grosse industrie sono sorte per soddisfare le sue esigenze. Le idee della gente possono cambiare, mentre invece è difficilissimo cambiarne le abitudini. Eppure, milioni di decisioni individuali hanno portato al nostro asservimento alla macchina. Riusciranno milioni di libere scelte a liberarcene?».
L'annuncio di una morte dell'automobile resta, ancora oggi, largamente esagerato, come direbbe Mark Twain. Però, anche se una cantante molto amata dai ventenni, Olivia Rodrigo, qualche anno fa ha intitolato Drivers license il suo singolo di debutto, a quel che scrive Cerasa, citando in parte dati che aveva già riportato qualche tempo fa l'Economist, i post-Millennials della Gen Z (convenzionalmente, i nati fra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del Duemila) quei «milioni di libere scelte» contro l'automobile le starebbero facendo. «Nel 1997, il 43 per cento dei sedicenni statunitensi possedeva una patente di guida, nel 2020, questa percentuale è scesa al 25 per cento. Nel 1983, solo un americano su dodici, tra i 20 e i 24 anni non aveva la patente, mentre nel 2020 questa proporzione è arrivata a uno su cinque. Negli ultimi vent’anni, la percentuale di adolescenti britannici con patente è scesa dal 41 per cento al 21 per cento. Dal 2011 al 2021, il numero di auto intestate a giovani sotto i 25 anni in Italia è diminuito del 43 per cento, passando da oltre un milione a 590 mila unità. E infine: tra il 1990 e il 2017 la distanza percorsa dai conducenti adolescenti negli Stati Uniti è diminuita del 35 per cento e quella dei conducenti di età compresa tra i venti e i 34 anni è scesa del 18 per cento».
Quanto ai possibili motivi del «totale, progressivo e clamoroso disinteresse per le auto delle nuove generazioni», Cerasa scrive: «C’entra probabilmente il fatto che la tecnologia, rendendo facile fare acquisti online o guardare film in streaming a casa, ha reso meno impellenti di un tempo, nei grandi centri abitati, le ragioni per prendere l’auto per spostarsi. C’entra probabilmente anche un pizzico di ideologia, e le generazioni più sensibili alla sostenibilità non potendosi permettere un’auto elettrica potrebbero avere un senso di colpa in più a possedere una macchina più inquinante, ma queste sono solo supposizioni. Probabilmente, piuttosto, in questo caso c’entra molto anche la possibilità di avere alternative in città, all’utilizzo delle macchine, car sharing, bike sharing, mezzi pubblici, e alternative maggiori anche per spostarsi da una città all’altra, treno, pullman, aerei, pazienza se inquinanti».
Va detto che non tutte le analisi concordano. A fine agosto, su Newsweek, Suzanne Blake scriveva che la Gen Z sta in realtà trainando, dopo la pandemia, un boom del ritorno all'auto. «Secondo il sondaggio sulla mobilità “On the Move” di Enterprise Mobility - riportava Blake - il 47%, degli appartenenti alla Gen Z ha dichiarato di guidare anche più di cinque anni fa. Anche i Millennial stanno contribuendo alla tendenza, con il 41% che dice di aver guidato più di cinque anni fa, prima che la pandemia colpisse». Michael Ryan, esperto di finanza e fondatore di michaelryanmoney.com, ha detto a Newsweek che «dopo anni passati a fare affidamento su Uber e Lyft, molti stanno ora scoprendo che possedere un'auto è più conveniente per i loro stili di vita in evoluzione. Molti preferiscono la flessibilità e la sicurezza percepita dei veicoli personali». Ryan si diceva anche fiducioso sul fatto che, a mano a mano che i giovani americani usciranno dalla trappola del debito scolastico (il macigno dei costi esorbitanti dell'istruzione universitaria), torneranno a comprare auto.
Anche Daniel Knowles, autore di Carmageddon: How Cars Make Life Worse and What To Do About It, citato da Anya Jaremko-Greenwold su The Week, pensa che sia più che altro una questione di tempo, come dimostrerebbe il precedente dei Millennials, almeno negli Stati Uniti: quando cominciano a guadagnare si spostano a vivere nei sobborghi, e l'auto diventa indispensabile. «La presa di distanza dalle auto - dice Knowles - è un po' come quella dallo sposarsi e dal fare figli. Le persone aspettano molto più a lungo, ma sono cose che, alla fine, stanno ancora facendo».
Un ottimismo non condiviso da tutti. E difficile da condividere in Italia, unico Paese Ue in cui i salari reali sono diminuiti rispetto al 1990 (e si comprano sempre più auto usate). Cerasa, infatti, è di tutt'altra idea rispetto a Ryan: «L’unica auto sostenibile per le tasche di chi non può permettersi di spendere 30 mila euro per un’auto non a motore a scoppio è un’auto figlia a sua volta di un’altra demonizzazione: quelle cinesi, uniche auto ormai a prezzi accessibili (...). Gli automobilisti del futuro, per ragioni insieme pratiche e ideologiche, hanno perso interesse per le auto, hanno di fronte a sé auto che non possono permettersi, hanno alternative infinite per i propri riti di passaggio all’età adulta e non ci vuole molto a capire di fronte alla parabola di Tavares qual è il dito e qual è la luna. Il dito è Stellantis. La luna è un mondo che cambia e che in troppi vogliono provare a cambiare senza fermarsi un attimo per provare a capirlo».
Conclusione non molto distante da quel che scrive Manca: «Il passaggio è epocale. Discende da quei mutamenti di mercato, dalle transizioni digitale e ambientale, dalle discontinuità tecnologiche che hanno velocità imprevedibili e che stanno mettendo a dura prova tutte le maggiori case. (...) Non si trattava di sostituire un propulsore con un altro di diverso tipo. E non necessariamente elettrico. Ma anche avere a bordo tecnologie, modalità di utilizzo diverse. Come dimostra l’accelerazione del noleggio».
Certo, Carlos Tavares ci ha messo del suo. Come scrive Paolo Bricco sul Sole 24 Ore, il suo è «un fallimento doppio: di merito e di metodo. Tavares ha fallito nel merito. Ha dilapidato le doti che due vecchie signore come Peugeot e Fiat avevano portato al loro matrimonio in età matura. Una base non irrilevante di cultura e di tecnologia dell’elettrico la componente francese. Il Nord America la componente italiana. Il Nord America è, nella realtà e ancora di più nell’ombra del futuro, un disastro nei volumi e nella redditività. L’auspicio di un atterraggio morbido nell’elettrico rischia di essere una caduta clamorosa. Tavares ha fallito nel metodo. Perché il suo stile di “spremitore” di fabbriche, di tagliatore di costi, di riduttore dei tempi per arrivare dall’idea di un’auto alla sua messa in strada non ha funzionato: le fabbriche sono semivuote, la rete vendita è a disagio (in Europa) e in rivolta (negli Stati Uniti), i nuovi modelli non esistono. (...) Tavares è un ingegnere. È partito dai prodotti e dalle fabbriche. Ma il problema è come ha interpretato tutta questa dimensione manifatturiera e organizzativa. Tutti lo sapevano, quando nella fusione fra Fca e Psa ha prevalso la componente francese nei concambi, nella composizione del Cda, nelle scelte strategiche e negli equilibri di potere. Il capoazienda indiscusso sarebbe stato lui, con il suo profilo di ingegnere anomalo: né dedito alle tecnologie né innamorato delle fabbriche, ma concentrato sulla loro trasformazione in numeri e conti, indici e report finanziari. Non ha funzionato. L’ingegnere dei numeri ha fallito». Ma è difficile dare torto a Manca quando, come Cerasa, pronostica che «servirà molto di più che un nome da indicare al posto di quello di Tavares».
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